Il mistero della busara

La busara non è una ricetta.

È uno stile di vita, una tradizione che abbraccia l’alto Adriatico: dall’Istria e dalla Dalmazia corre, cammina, naviga e nuota sulle due sponde del piccolo mare veneziano. Approda in terra giuliana, si accomoda in laguna e fa l’occhiolino al leone di San Marco prima di risalire la Brenta, la Piave e il Bacchiglione per andare dove il mare è solo quel riflesso iridescente in fondo alla pianura.

Non è neppure chiaro cosa sia esattamente la busara. Una pentola utilizzata dai pescatori, secondo alcuni. Una sottile metafora per avvertire che nel sugo c’è un inganno – busìa in veneto – ordito per nascondere la reale quantità di ciccia di mare nascosta dalla coltre di velluto del pomodoro.

Insomma, la busara è un buonissimo mistero. Una favola che ha per protagonisti a volte gli scampi e a volte i peoci, che a seconda del racconto vanno a braccetto con l’aglio, il vino bianco, la cipolla, il peperoncino e altre meravigliose spezie. Pasta o pane, poco cambia. Basta che ci sia il pomodoro. Poi la busara arriva in tavola ed è comunque una festa, e chi non si lecca le dita dopo non sa cosa si perde.

La ricetta è molto semplice: olio, aglio o cipolla, un po’ di peperoncino se piace vanno scaldati in padella. Poi si aggiungono scampi o cozze, li si cuoce per pochi minuti sfumandoli con il vino bianco. A questo punto si aggiunge il pomodoro e si porta avanti la cottura. Da qui in avanti scegliete voi se volete condirci la pasta o se vi basta del pane.

E a voi, come piace la busara?

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