La Marcesina è più di una bella cartolina, più di un immenso prato popolato di malgari, vacche, cervi, lupi e spiritelli arrivati da queste parti nascosti nelle bisacce dei cimbri. La Marcesina è un paradigma di quello che è successo in Veneto negli ultimi anni: una zona di grande pregio naturalistico e storico, quella della piana incantata, che è stata colpita nel giro di poco tempo dalla tempesta Vaia e dalle ricadute del coronavirus.
In un attimo la Marcesina è uscita dalle rotte turistiche, e anche oggi che i viaggiatori si stanno affacciando sull’Altopiano dei Sette Comuni i grandi flussi faticano ad arrivare in quell’angolo di paradiso.
Lo sfacelo lasciato da Vaia, le difficoltà legate a una rete stradale messa a dura prova dal continuo passaggio di camion – che scendono a valle per portare via quel che la mano del gigante ha abbandonato nella piana – e le nuove rotte create dall’emergenza coronavirus stanno riducendo al minimo le presenze lassù, dove il verde dei prati e il blu del cielo si danno la mano. Nei fine settimana si vede un po’ di movimento, ma nei giorni feriali la faccenda è un tantino diversa.
Eppure la Marcesina ha un’ancora di salvataggio che può servire fin da subito perché la piana, tanto cara a Mario Rigoni Stern, non si perda nell’oblio delle destinazioni dimenticate: la sua gente, il suo formaggio e i prodotti delle sue malghe.
La distanza fra l’alpeggio e il luogo in cui i casari fanno la loro magia è la stessa che c’è fra una cultura e la sua espressione più diretta, ovvero il cibo. Le vacche al pascono si nutrono dell’anima stessa della Marcesina, che si ritrova tutta nei prodotti delle malghe. Formaggio, burro, dolci e latte hanno le sfumature del gusto che non ci si aspetta di trovare dietro l’angolo. Un passo indietro nel tempo, quando il cibo non usciva da una confezione di plastica appollaiata sugli scaffali di un supermercato.
Ripartiamo da qui.
Ripartiamo dalla sorpresa di assaggiare un formaggio che sa di malga. Che sa di formaggio, e non di marketing. Ripartiamo dallo scoprire i gesti antichi dalla stalla alla caliera, dalla mungitura alla rottura della cagliata. Dal prato al magazzino di stagionatura il passo è lungo tanto quanto la storia dell’arte casearia. In mezzo ci siamo noi, con le nostre scelte di ogni giorno. Se prenderemo la strada giusta anche la Marcesina rinascerà dai suoi colori e dai suoi gusti.
Altrimenti la perderemo, assieme al suo scrigno di tradizioni, saperi e sapori. E con lei perderemo un altro pezzo della nostra anima.
Torniamo alle malghe, torniamo alla vita.