Ci siamo. Dalle cucine di ristoranti, trattorie e osterie esce un fiume saporito e profumato di meraviglie! Giusto il tempo di capire come funziona, poi chiamo Diego di Fufi per prenotare una cena che in inglese si direbbe take away, ma che preferisco chiamare “a portar via”. Arrivo in trattoria ed è subito festa a due metri di distanza: è bello rivedersi dopo così tanto tempo. Ci si saluta, si fanno le considerazioni su questo momento e si bada bene di mantenere le distanze e le precauzioni. Da sotto le mascherine si capisce comunque il sorriso di chi ha ricominciato a lavorare e di chi si porta a casa una cena coi fiocchi. Corro a casa, apriamo i pacchi come se fosse la mattina di Natale e la gioia riempie la sala da pranzo nel veder emergere una tripla porzione di gnocchi al ragù, mezza soppressa e uno schissotto grande come un gatto.
Ci lanciamo sul cibo, è tutto buonissimo. Anzi, è esattamente come lo ricordavamo. Dalla bocca e dal naso parte un’ondata di informazioni che si trasformano in ricordi ed emozioni.
Ah, che soddisfazione!
Poi però subentra una sensazione strana. Qualcosa non va, il gusto è quello giusto e pure la consistenza. Ma questa mangiata, nonostante le proporzioni più che generose, non dà le solite emozioni. Pensa e ripensa: forse Fufi mi ha buggerato?
No, è il cuore che ci ha buggerato.
Perché in tutto questo manca l’ingrediente principale. Mangiare non è un atto meccanico. Noi veneti non ci nutriamo, viviamo la nostra cucina. E così mangiare lo stesso identico piatto di gnocchi a casa o in trattoria non è la stessa cosa. Manca l’oste, mancano gli avventori, manca il rumore, mancano gli odori che arrivano dalla cucina e dalle tavolate vicine. Manca il rumore dei bicchieri, le grida dei brindisi, gli schiocchi delle labbra di chi non si capacita di quanto sia buono quel che sta mangiando. Manca la parola di chi viene a chiedere se “era tutto buono e abbondante”, manca il vino della casa. Ecco, è tutto un mondo che manca.
Ma non lo perderemo mai, perché fa parte di noi. È nel nostro dna: quando tutto questo sarà finito torneremo nelle trattorie. Torneremo nelle osterie, nei ristoranti, nei bacari e in tutti quei luoghi in cui in Veneto non si beve e non si mangia solamente. Andremo a rivedere le malghe e a riempirci il naso del profumo del formaggio e del latte appena munto. Torneremo nelle cantine, dove gli effluvi delle botti ci faranno girare la testa nella penombra silenziosa.
E sarà ancora più bello di prima.
Nel frattempo approfittate delle cene a portar via, ci terranno in vita.