È San Martino, bellezza

 

Castagne, vino, oche, cavalli, mantelli, contadini disperati, caldo fuori stagione e poesiole da imparare a memoria. Che confusione! Poche feste del calendario italiano mettono assieme così tanti temi, tutti lontani e pure tutti legati fra di loro in modo indissolubile: è San Martino, bellezza. L’11 novembre l’intero Belpaese, con un epicentro decisamente veneto, è scosso da un fremito novembrino che comprime in una sola giornata tradizione, cucina, religione e meteorologia. Roba da intasare l’algoritmo di Facebook per una settimana.

Ma andiamo con ordine.

San Martino: chi era costui?

L’agiografia ufficiale ci dice che Martino nacque 300 anni dopo la morte di Cristo nell’attuale Ungheria, figlio di un funzionario militare romano che gli diede quel nome per onorare il dio latino della guerra. Seguì, volente o nolente, le orme paterne e diventò un militare. Fin qui (probabilmente) la realtà, ora entriamo nella sfera del mito. Già, perché il buon Martino è ricordato per il gesto del taglio del mantello. Una notte molto fredda di novembre, infatti, il militare incontrò un poveraccio seminudo che gli chiedeva un obolo. Non avendo niente da dargli decise di tagliare in due il suo mantello e di condividerlo con il mendicante. La notte seguente gli apparve in sogno Gesù, che portava proprio quella metà del mantello e lo ringraziava per quel gesto di generosità. Pare che da quella volta, per ricordare il fatto, i giorni finali della prima decade di novembre siano decisamente meno freddi della media stagionale. È l’estate di San Martino, e per chi non ha nemmeno un mantello per coprirsi è una botta di speranza.

Il cavallo di San Martino

L’immagine di Martino – San, scusate – che taglia il mantello in sella al suo cavallo compare in questi giorni da centinaia d’anni in tutti i forni e le pasticcerie di Venezia. E pure nelle case dei veneziani, se è per questo. Il dolce, una frolla tempestata di caramelle e glasse, rappresenta la pura venezianità in questa era che si è appiattita su Halloween e sulle feste comandate. Sì, comandate dal mercato. Una volta i bambini di Venezia se ne andavano a spasso per la città facendo un gran baccano con pentole e campanacci, e ricevevano dolcetti e qualche povero dono. Vi ricorda qualcosa? L’Insaziabile, giusto per non farsi mancare niente, ha fatto un salto a comprare il cavallo di San Martino nella pasticceria Rosa Salva, una delle più rinomate di Venezia: è a due passi da piazza San Marco e secondo i locali si contende con poche altre la palma della pasticceria più buona della città. Ne riparleremo, statene certi.

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Poveracci senza mantello

L’11 di novembre non è mica tutto dolcetti e abbracci, sappiatelo. O almeno non lo era. Fino a qualche decina d’anni fa c’erano infatti dei poveracci per i quali San Martino non era affatto una festa da celebrare. Erano i contadini veneti che non avevano ottenuto il rinnovo del contratto dal padrone dei campi. Questi disgraziati raccoglievano le loro quattro cose, la moglie, i bocia e il nonno, li caricavano su un carretto e se ne andavano alla ricerca di un nuovo padrone. Era la processione di San Martino, dove la delusione e la paura si fondevano con un briciolo di speranza. Ecco, credo che a questi nostri bisnonni l’arrivo dell’estate di San Martino portasse qualche giorno di sole in un periodaccio mica da niente. E gli altri? Quelli che ottenevano il rinnovo del contratto e potevano contare su di un tetto sopra la testa festeggiavano!

O che belle oche

San Martino corrispondeva con l’ultimo giorno prima dell’inizio del digiuno che avrebbe portato i devoti fino al Natale. Era quindi l’ultima occasione per farsi una bella mangiata e nelle case di campagna del Veneto che ormai non c’è più si faceva la festa all’oca. Letteralmente. Il simpatico pennuto da corte è il corrispettivo del maiale: non si butta via niente e ogni parte, dal collo alle piume, era destinata a rendere meno grama la vita. Oggi la tradizione dell’oca rimane ben salda in Veneto e ogni zona ha le sue pietanze tradizionali a base d’oca. Potete mangiare petti scottati, cosce cotte a bassa temperatura & sottovuoto, colli ripieni, fegato d’oca e mille altre prelibatezze. Chi non ha tempo di allevare le proprie oche, e magari non ha neppure il cuore di tirar loro il collo, può fare una capatina da Michele Littamé a Sant’Urbano, paesino nel bel mezzo delle basse a due passi dall’Adige. Lui di oche se ne intende, fidatevi.

Irti colli? No, grazie

Delle castagne parleremo un’altra volta, come pure del vino. Occhio, che se vi becco a bere novello, però, vi tolgo sia l’oca che il cavallo di San Martino. Della poesiola mi taccio per non dare un dispiacere alla mia maestra delle elementari. Ma questa festa è davvero un legame fra il Veneto contadino e quello odierno, dove strade e capannoni hanno preso il posto delle caresà sulle quali i carretti dei disgraziati sobbalzavano nella speranza di un domani migliore. Una linea diretta fra la tradizione e la modernità, nella quale le foto dei piatti d’oca su Instagram vanno a braccetto con il pienone nelle trattorie. (Qui qualche consiglio).

Per questa volta va bene così, ringraziamo San Martino e ricordiamoci che a un passo da noi c’è sempre qualcuno con cui fare a metà del nostro mantello. O della nostra coscia d’oca al forno.

E voi, come festeggiate il vostro San Martino? Ditelo all’Insaziabile!

 

2 commenti

  1. Da noi a San Martino c’è festa grande, per il nostro paesello…
    Ci sono le giostre in piazza ed i banchetti con le verdure di stagione.
    I contadini che si stanno riprendendo dalla vendemmia, vanno in giro con i cani da tartufo e portano i loro diamanti bianchi in piazza per la vendita.
    Oggi è passato il treno storico con la grande locomotiva nera che sbuffava. Ha lasciato i turisti che venivano da Torino per tre ore la possibilità di girare per le cantine storiche e poi se li è ripresi e riportati a casa.
    E’ stato un bel giorno di festa.
    Ci siamo trovati tutti a passeggiare per quelle vie che di solite ci vedono sfrecciare e nemmeno salutare il vicino…oggi ci siamo presi tutti un po di tempo per vivere.

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