Dopo ragù e spezzatino, arriva il momento dell’arrosto di cervo, che nella montagna veneta e friulana è davvero il piatto della festa. La ricetta è ancora più semplice di quelle del ragù e dello spezzatino, l’importante è che il taglio di carne sia quello giusto, e che abbia un po’ di grasso da trasformare in gusto durante la lenta cottura.
Quello che vedete nella foto d’apertura dell’articolo è Bepino de Fortuné, tra i miei fornitori di selvaggina più preziosi. La sua ricetta, custodita gelosamente assieme alla moglie Paola, è basata sul fatto che i sapori semplici vanno mantenuti tali. Perché glassare, ghiacciare, schiaffeggiare, affogare, insultare un taglio di carne che già di suo ha tutte le caratteristiche per trasformare il pranzo della domenica in un tripudio?
Come si fa l’arrosto di cervo?
Semplice: prima di tutto si fa marinare per una notte la carne nel vino rosso con i suoi aromi. Vanno benissimo alloro, salvia, rosmarino e l’immancabile – almeno per la selvaggina di montagna – ginepro.
Nota di servizio: io il ginepro lo tolgo prima di portare in tavola perché se vi viene sotto i denti una bacca intera può essere un’esperienza traumatica, in grado di rovinare il palato per un quarto d’ora!
Torniamo all’arrosto e lasciamo il ginepro al suo triste destino. Si prepara quindi un battuto di lardo, sale, pepe, aglio e cipolla e lo si scalda nella pentola assieme a un bel pezzo di burro. La prima scottata della carne va fatta a fuoco allegro, in modo da bloccare tutti i sapori all’interno dell’arrosto. Una variante della ricetta prevede che il battuto e il liquido che si forma durante la scottatura venga buttato via per togliere quell’accento selvatico dal piatto. Ma a me piace che la selvaggina sia appunto…selvatica! Perciò teniamo in pentola tutti i sapori e gli aromi.
Scottata la carne si sfuma tutto con il vino. Andrà bene un rosso, anche vecchio, ma c’è chi usa la grappa. C’è pure chi utilizza il cognac o il brandy, ma ritengo che entrambi rilascino note troppo dolci all’arrosto. Mi raccomando: non dite a Bepino che ho parlato di brandy o cognac come “sfumatori” nella ricetta del cervo, potrebbe dare il via a un embargo nei miei confronti che potrebbe rivelarsi disastroso per la mia economia culinaria.
Da qui in poi serve solo pazienza. L’arrosto si cuoce a fuoco lento per due o tre ore, aggiungendo acqua o brodo leggero per non farlo seccare troppo. Esistono due varianti della faccenda. L’arrosto si può fare al forno oppure in pentola, sul fornello. Sta a voi decidere quale versione risponda maggiormente alle vostre esigenze e alle vostre papille gustative. Provatele entrambi e fate sapere all’Insaziabile quale vi piace di più. Alla fine, prima di portare in tavola, si asciuga il sughetto, guarnizione ideale nel piatto.
Per il contorno non si scappa: patate arrostite o polenta morbida delle Blave di Mortean. Tradizione vuole che la polenta venga cotta su di una stufa a legna, togliendo due o tre cerchi al piano di cottura della cucina economica e usando un “parolo” come i nostri nonni. La fatica è mostruosa, ma i risultati sono da lacrime di nostalgia. Provare per credere (e per sudare).
Io l’ho accompagnato con un cabernet souvignon di Maculan, ma andrà benissimo qualsiasi vino rosso in grado di reggere sapori forti e gusti molto decisi.
Buon appetito dall’Insaziabile!
PS – Neanche il tempo di pubblicare questo pezzo e già i miei winelover di riferimento mi hanno lanciato improperi e proposte via Whatsapp e Telegram…se avete idee, variazioni sul tema, vini da proporre per questo piatto e bacchettate da rifilarmi fatelo qui sul blog! L’Insaziabile, anche se suscettibile come una puzzola, risponde a tutti e condivide una fetta di arrosto con chiunque abbia fame o sete di vita.